di Giorgio Caschetto
Il lockdown è diventato uno stile di vita: metti la mascherina, i guanti, lava le mani, usa il disinfettante, rispetta la distanza sociale. Molte sono le difficoltà e le preoccupazioni che accompagnano questo periodo e mai come adesso una buona dose di resilienza è quello che ci vuole per uscirne fuori. All’inizio di questa emergenza mi sembrava di guardare un film, ora di farne parte; il finale è ancora un’incognita ma sarebbe bello vedere l’Agente J dei Man in Black sconfiggere l’“alieno invisibile” e con il mega neuralizzatore “sparaflasharci” cancellando dalle nostre menti l’assurda sensazione di paura di un abbraccio, della convivialità, di viaggiare, delle persone.
In questi giorni di stop forzato le attività casalinghe che ho praticato sono diverse, alcune barbose – come pensare alla futura ripartenza e in che modo il nostro mondo della sommellerie, ristorazione e turistico, risponderà al nuovo stile di vita – e alcune piacevoli tipo: didattica on-line delle mie figlie di 8 e 5 anni, organizzare sessioni sportive in salone, letture nuove o lasciate in sospeso e riordinare foto di viaggi sparse tra cellulari e pc, così, per viaggiare con i ricordi (almeno per il momento!).
Scorrendo tra le foto, alcune mi riportano ad un freddo alsaziano di fine novembre. La mia famiglia è sempre entusiasta di viaggiare con me alla ricerca di vigneti, soprattutto se la prima tappa è Disneyland Paris! Accontentate quindi le figliole, ma in realtà anche mia moglie e me, facciamo una tappa di 2 giorni a Reims: lascia senza fiato la visita a Notre-Dame, e sono attraenti anche i suoi Mercatini di Natale utili per contrattare una visita ad una cave di Champagne! Tornati in superficie dopo diverse decine di chilometri, recuperiamo l’auto a noleggio e orientiamo la bussola verso la regione dell’Alsazia.
In un pomeriggio nevoso, dopo aver scavalcato la catena montuosa dei Vosgi e accumulato un ritardo di tre ore (tutta colpa dei gilets jaunes e dei loro falò per strada) Turckheim, piccolo borgo medievale vicino Colmar, ci accoglie ormai sera in un’atmosfera fiabesca: case colorate a graticci, le finestre accese qua e là che illuminano la piccola città, campanili appuntiti, fiori che si affacciano dalle camere, bistrò dove ci si scalda mangiando cacciagione e bevendo vino o birra. Questi paesaggi, che hanno ispirato l’ambientazione del film Disney “La Bella e la Bestia”, sono circondati da vigneti che dalle colline scendono a valle. Partito per conoscere vini e vitigni sono rimasto affascinato da questa terra di confine: un pò Francia, un pò Germania ma in realtà è ALSAZIA e basta. Terra contesa durante la seconda guerra mondiale per le sue risorse di ferro e carbone che in quel periodo era come dire armi. Tra le vie dei borghi alsaziani si nascondono pasticcerie e chocolaterie le cui vetrine se la combattono con quelle di lussuose gioiellerie! La gastronomia offre piatti di carne e selvaggina; un tipico piatto è la choucroute, fatto con crauti, salsicce, patate e lardo affumicato. Oltre alla vite ho scoperto coltivazioni di frutteti, mele per lo più, tuberi di tutti i generi, mais e tabacco; il Marché Couvert di Colmar, il mercato coperto, racchiude un concentrato di prodotti agricoli e d’allevamento di questa regione, ed è una sosta imperdibile per uno street food di prodotti tipici. Ammetto che ho perso di vista il fil rouge del viaggio: vino o mercatini di Natale? Però qui i Marchés de Noël incalzano con una novità dopo l’altra: il Flammekueche o Tarte flambée una sorta di pinsa romana farcita con pancetta, cipolla e Munster (formaggio tipico della regione, quanto puzza ma quanto è buono!), un bretzel (dolce o salato), l’Omino Biscottino con il suo profumo di pan di zenzero, bevande calde al succo di mele con miele e il Vin Chaud, sono i profumi che si impossessano delle stradine e persuadono “golosi malcapitati” come me.
La faccio breve: vi svelo che alla fine le cantine si sono imposte; non vi elenco tutte quelle viste, sicuramente non ho scoperto l’acqua calda e non sono Cristoforo Colombo sbarcato in Alsazia, però, aprendo i cassetti della memoria, come dice Gerry Scotti a chi vuol essere milionario, accendo e confermo quello che mi ha affascinato in questo veloce viaggio. La visita ha riguardato la Haut Rhin, la zona a sud di Colmar (Bas Rhin è quella a nord). Non dimentico la sorpresa che ho provato nello scoprire la personalità che esprime da queste parti il Pinot Grigio/Pinot Gris: ricchezza di aromi e una corposità avvolgente e appagante. Molto interessante e istruttivo è stato poter confrontare l’espressione di uno stesso vitigno coltivato su terreni diversi, tutto ciò visitando una sola cantina! La cantina sociale di Turckheim. La sala di assaggio è semplice ma notevole nelle dimensioni, gli addetti di una gentilezza e pazienza uniche, i vini sono suddivisi in base al terreno dal quale provengono le uve; ho potuto assaggiare TUTTO (con grande imbarazzo di mia moglie!), verificare e toccare la composizione del terreno e poi bere il relativo vino. Da queste parti i vigneti affondano i loro piedi in terreni granitici e scistosi, che esaltano l’aromaticità e che permettono ai vini di affinare a lungo garantendo una fresca acidità; terreni caratterizzati da arenaria – qui l’acidità è notevole ma i vini vanno aspettati – e i terreni arenario-vulcanici che donano una buona mineralità e un’affascinante nota fumé. Quali sono i fortunati vitigni che hanno il privilegio di godere di questi paesaggi? Non a caso qui li chiamano “nobili” e sono: il Re Riesling, il più coltivato; l’Ambasciatore d’Alsazia Gewurztraminer, il più conosciuto; il vigoroso Pinot Grigio (localmente Tokay-Pinot Gris o Tokay d’Alsace), ottimo con i piatti tradizionali, e l’atleta Muscat, fresco e leggero da bere giovane. Questi quattro nobili sono abitualmente vinificati in purezza e qui, a differenza del resto della Francia, il nome del vitigno è scritto in etichetta rendendo facile la scelta del vino anche ai non esperti in materia! È possibile però che dei produttori decidano di assemblare diverse uve, in questo caso sull’etichetta della bottiglia non sono elencati i vitigni ma l’indicazione Edelzwicker; generalmente per questa tipologia di vino non vengono utilizzati i “nobili” ma altri vitigni a bacca bianca presenti in quantità minore nella regione come il Sylvaner e Pinot Bianco o lo Chasselas. Immancabile la presenza dello Chardonnay utilizzato insieme con altri vitigni per brindare! Non provate a chiamarlo Champagne, si passano i guai, qui la menzione prevista per gli spumanti metodo classico è Crémant d’Alsace AOC. Non è che non voglio parlare di vini rossi ma qui in Alsazia la viticoltura è a bacca bianca! Un unico vitigno rosso ogni tanto fa la sua comparsa, è il Pinot Nero utilizzato per i vini fermi e spumanti. Le menzioni dei vini Alsaziani però non finiscono qui: le due che fanno letteralmente diventare matte le papille gustative sono la Vendanges Tardives, vendemmia tardiva (i vini possono essere secchi o dolci) che a volte può riservare la sorpresa di uve attaccate dalla Botrytis Cinerea, e la Sélection de Grains Nobles, cioè “selezione di acini nobili” raccolti a mano se e solo se “abbracciati” dalla Muffa Nobile – considerando che la Muffa Nobile (Botrytis Cinerea) si forma solo in determinate condizioni – la produzione di questo vino passito e dolce non è assicurata ogni anno. Queste due importanti menzioni rientrano nella denominazione regionale Alsace AOC o Vin d’Alsace AOC (Appellation d’Origine Côntrolée). La denominazione più prestigiosa però è l’Alsace Grand Cru AOC, questa non è per tutti i vini della regione ma solamente per quelli prodotti in una delle 51 aree previste dal disciplinare e con uno dei quattro vitigni nobili. E finisce il mio primo giro in Alsazia; gli alsaziani mi rivedranno, non so quando ma mi rivedranno… no, non è una minaccia ma una promessa!
Ovviamente prima di andare via faccio scorta di vino, formaggio, dolci e tutto quello che riesco a caricarmi (mentre evito lo sguardo incredulo e senza speranza di mia moglie!). Il viaggio continua in treno via Basilea direzione Oltrepò Pavese, tappa successiva prima di far ritorno a casa ma questa è un’altra storia. Ora metto in modalità aerea il cellulare, stappo una bottiglia, il tappo non ha odori sgradevoli, verso il vino e il bicchiere si colora, continuo a viaggiare con i sensi attraverso il calice; vista, olfatto, gusto, tatto e udito (pensate al suono del vino quando scorre all’interno del bicchiere) in fondo sono gli stessi sensi che si usano quando si viaggia: ci si guarda intorno, si ascoltano i suoni e sentono i rumori, si percepiscono gli odori e si cercano sapori nuovi, si tocca e calpesta la città! Aspettando che l’Agente J ci restituisca le nostre certezze e il piacere della convivialità, scopriamo attraverso le degustazioni territori, cantine e persone ricordando che il vino non è un prodotto ma un’idea di professionisti che vivono e interpretano un territorio.
Buon viaggio!